
Mi chiedo sempre, quando si parla di educazione, cosa significhi oggi il termine e cosa abbia significato nel nostro percorso personale, proviamo quindi ad andare di ragionamenti e scavi nella memoria, chissà cosa ne esce.
Cominciamo.
Quando come adesso devo scrivere un articolo la prima fase mi diventa di estrema sofferenza. Inizio a sbattere qui e là per cercare spunti, maledicendo il mio “si, lo scrivo io l’articolo” e “accidenti a te ed al tuo narcisismo”. Se ci pensiamo però il narcisismo è anche sano, perché fa bruciare tanti zuccheri nei fraguglii mentali e ti tiene in forma, facendoti risparmiare la spesa della palestra.
Cerco di resistere alla tentazione di chiedere a Google, di chiedere all’intelligenza artificiale, di chiedere ad altri meccanismi artificiali di sostituirsi al mio pensiero, alle mie convinzioni, proponendomi qualcosa scelto ed assemblato da altri.
Ecco appunto, a proposito di intelligenza artificiale, se invece pensassimo all’utilità di possedere una buona dose di stupidità naturale?! Ma ci pensate quale innovazione sarebbe?
Lasciarsi guidare da una stupidità sana e bella, che ci fa credere ad un progetto quando tutti ci dicono che siamo dei folli, quella stupidità di innamorarsi della persona che la app di astrologia ed anche quella di incontri dice di evitare. Ma anche quella di fare figli e di cambiare casa ed anche l’auto mentre l’ISTAT ci promette un futuro di schifezze, quando l’INAIL proroga la nostra pensione dopo l’inizio della demenza, addirittura quando le analisi del sangue trasudano livelli di colesterolo che nemmeno Polifemo possedeva.
La stupidità creativa e divertente che ti investe ma che lucidamente intercetti e gestisci, anche quando sei li li per bucare i preservativi in farmacia per combattere la denatalità, quando ammetti a te stesso che darebbe soddisfazione investire quel brutto antipatico della macchina avanti a te, che ha sversato a terra il posacenere dell’auto.
Divagazioni non logiche in ordine sparso? Si può darsi, anzi sicuramente, ma avvengono tra le sinapsi dei miei neuroni con fluidità.
Stavo arrivando a cosa?
Ah sì, che il punto di svolta ce l’ho quando io, in quanto uomo maschio (lo si vede anche ma non solo dalla barba e dalla “M” sulla carta di identità) prendo consapevolezza che posso elaborare solo un pensiero per volta. Se allora mi aggancio a questo unico pensiero e rimango su quello che c’è, se succede questo l’articolo si scrive da solo (libera citazione da “Una canzone per te”, di Vasco Rossi, 1983, dove cantava “Le mie canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole”).
Fluidità e sinapsi e va a finire che adesso, in questo momento addì sabato 11/01/2025 ore 16:57, il pensiero libero mi aggancia al fascino degli errori, quel fascino e quella tentazione di non seguire quello che ci dicono gli altri, perché sono nella consapevolezza di quello che faccio, cazzate comprese.
Grande ed utile allora l’errore di non seguire il navigatore, per concedersi il perdere la rotta e trovare per caso una trattoria alla fine della strada a fondo chiuso di fianco all’argine, che non era tracciata su Maps ma dove ti fanno una minestra di fagioli che mi ricorda tanto quella di mia nonna.
Mia nonna Imelde, classe 1913, la minestra di fagioli faceva con i fagioli cannellini, quelli bianchi e piccoli.
Famiglia di contadini, da sempre, i fagioli li coltivava mio nonno ed io lo aiutavo a ripulirli in mezzo all’aia.
Nonna Imelde i fagioli cannellini (che sono quelli bianchi e piccoli che coltivava mio nonno) li metteva a mollo in tanta acqua fredda la sera prima e la mattina li trovava ravvivati, quasi parlanti, con le grinze sulla buccia. Metteva poi a soffriggere un misto che solo lei sapeva ripetere, fatto di aglio e prezzemolo battuto al coltello, olio e sale grosso, con un po’ di triplo concentrato di pomodoro della STAR.
Avevo pochi anni, ma il profumo lo ricordo ancora.
Il soffritto lo aggiungeva poi il ad una pentola dove i cannellini creavano nella bollitura un brodo roseo e denso, assieme ad un po’ della verdura giusta, rigorosamente sulla stufa a legna (si lo creavano, non ho altri termini, non era una semplice trasformazione da cottura ).
Il brodo aspettava poi in una conclamazione orgasmica il tuffo dei maltagliati all’uovo fatti poco prima, lasciati a cuocere e poi fuori fuoco a gonfiarsi di sapore.
Chi, tra quanti hanno iniziato a leggere questo articolo, presentava tratti ossessivi e compulsivi l’abbiamo già perso dai fagioli in poi, per tutti gli altri possiamo trovare un perché a questa divagazione, con due episodi risalenti al periodo dei fagioli cannellini (si, quelli bianchi e piccoli).
Il primo è che mia nonna, andata solo in prima elementare e poi rimasta a casa a 7 anni per fare le faccende domestiche, mentre soffriggeva aglio e prezzemolo e sale grosso e pomodoro ascoltava continuamente Radio1, continuamente, ed io piccolo con lei.
Pensate, ogni giorno almeno 4 ore al giorno (non oltre le 12:00 mi raccomando perché a quell’ora la minestra doveva essere in tavola a sfamare gli uomini tornati dalla campagna, in contemporanea allo scampanare del mezzogiorno). Oh, ma lo sapete che questa stessa mattina ripetuta per almeno trent’anni fa almeno trentamila ore di formazione! Guardate che trentamila è un tre seguito da quattro zeri, dove mia nonna ascoltava notizie, commenti, documentari, dove inseguiva continuamente un desiderio di conoscere il perché delle cose narrate. Quando poi qualcosa non le tornava allora mi diceva “Ma che significato ha?”.
Questo spirito critico che nonna Imelde applicava a situazioni, avvenimenti, film io lo porto con me, assimilato e parte di me così come i maltagliati ed i cannellini.
L’altro episodio, fantastico, dal postino del paese, Giovanni
Arrivava con una motoretta scassata, e si prendeva una pausa dalle consegne chiacchierando con mia nonna, seduti in giardino, sciorinando monologhi il cui senso non abbiamo mai decifrato.
La sua frase più bella, di Giovanni, era quando si rivolgeva a me ormai studentello più grande, dicendomi “Studia studia che mi diventi in cretino istruito”.
Ecco, se allora l’educazione fosse questo, ovvero trovare quel bilanciamento, quel giusto compromesso tra quello che ci possono raccontare gli altri, ed una soggettiva capacità di critica e di scelta?
Allora il valore che io do all’educazione non è quante cose so, non il numero di nozioni o date o poesie che conosco, ma piuttosto quanto io sia stato aiutato a costruirmi uno spirito critico, per osservare la realtà e realizzare una comprensione meno condizionata possibile.
PS, una precisazione: i cannellini non si spappolavano nella bollitura, ma venivano recuperati quando ancora possedevano un’identità di forma, per andare ad incontrare cipollotti bianchi, olio e sale e pepe. Rigorosamente con pane ferrarese.
Gianni Toselli, gennaio 2025
Questo articolo è stato pubblicato nel profilo Facebook della scuola di Shiatsu dove ho l’onore di insegnare: Scuola Shiatsu IRTE